Risoluzioni consensuali e procedura per licenziamento collettivo

Ratio Quotidiano
3 Dicembre 2020

Ai fini dell’obbligatorietà dell’esperimento della procedura, nel computo delle 5 unità di rito devono essere conteggiate anche eventuali dimissioni volontarie “indotte”.
La costante giurisprudenza della Corte di Cassazione ha escluso che, ai fini del raggiungimento del numero minimo di 5 licenziamenti necessari per integrare l'ipotesi di licenziamento collettivo, si potessero includere altre differenti ipotesi di risoluzione del rapporto di lavoro come potrebbero essere le dimissioni o le risoluzioni incentivate, riferibili all'iniziativa del datore di lavoro. In questo senso è inequivoca, per esempio, la sentenza Cassazione civile, sez. lav., 22.01.2007, n. 1334: “l'art. 24 L. 23.07.1991, n. 223 deve essere interpretato anche alla luce del D. Lgs. 26.05.1997, n. 1517, che, nel dare attuazione alla Direttiva comunitaria 26.06.1992 n. 56, ha apportato una serie di modifiche al citato art. 24, nel senso che nel numero minimo di 5 licenziamenti ivi considerato come sufficiente ad integrare l'ipotesi del licenziamento collettivo, non possono includersi altre differenti ipotesi di risoluzione del rapporto di lavoro, ancorché riferibili all'iniziativa del datore di lavoro; tali diverse ipotesi restano pertanto assoggettate alle procedure di mobilità ed ai criteri di scelta stabiliti dagli artt. 4 e 5 L. 23.07.1991, n. 223, solo ove si raggiunga il numero di 5 dipendenti".
La Direttiva n. 98/59/CE, tuttavia, all'art. 1, par. 1, c. 1, dispone che “per il calcolo del numero dei licenziamenti previsti nel c. 1, lett. a), sono assimilate ai licenziamenti le cessazioni del contratto di lavoro verificatesi per iniziativa del datore di lavoro per una o più ragioni non inerenti alla persona del lavoratore, purché i licenziamenti siano almeno 5”. La giurisprudenza nostrana aveva sempre ritenuto ininfluente la citata disposizione ai fini dell'individuazione della corretta interpretazione della L. 223/1991, posto che la disciplina italiana in tema di licenziamenti collettivi prevedeva complessivamente una tutela più ampia di quella minima richiesta dal quadro europeo. Sul tema, tuttavia, nel 2015 è intervenuta la Corte di Giustizia, pronunciandosi sulla legislazione vigente in Spagna: non sono ipotizzabili interpretazioni differenziate della nozione di “licenziamento da utilizzare ai fini dell'operatività della disciplina disposta dalla direttiva stessa (sentenza CGUE 11.11.2015 – C-422/14).
Sulla base di tale pronuncia, la Suprema Corte ha ritenuto di tornare sui propri passi, affermando che “Ai fini del computo del numero dei lavoratori determinanti per la configurabilità della procedura di licenziamento collettivo, vanno incluse anche le risoluzioni consensuali siglate nell'ambito di una attività modificativa del rapporto assunta dal datore dì lavoro, come nel caso delle risoluzioni consensuali derivanti dalla mancata accettazione di un trasferimento” (Cassazione civile, sez. lav., 20.07.2020 , n. 15401). La portata del principio affermato dalla Suprema Corte e soprattutto i suoi riflessi sull'interpretazione che ne daranno i Tribunali, tuttavia, sono ancora da valutare.


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