In materia di licenziamento collettivo per riduzione di personale, qualora il progetto di ristrutturazione si riferisca in modo esclusivo ad un’unità produttiva, le esigenze riferite al complesso aziendale possono costituire criterio esclusivo nella determinazione della platea dei lavoratori da licenziare, purché il datore indichi nella comunicazione sia le ragioni che limitino i licenziamenti ai dipendenti dell’unità o settore in questione, sia le ragioni per cui non ritenga di ovviarvi con il trasferimento ad unità produttive vicine, ciò al fine di consentire alle organizzazioni sindacali di verificare l’effettiva necessità dei programmati licenziamenti (Cass. Sent. 6 dicembre 2022 n. 35797).
Nella specie, una Corte di appello territriale, nella impugnativa del licenziamento collettivo, aveva respinto il reclamo proposto da alcuni lavoratori avverso la decisione con cui il tribunale aveva escluso la sussistenza delle condizioni per applicazione dell’art. 2112 cc nella vicenda (licenziamento) che i ricorrenti qualificavano quale retrocessione di ramo di azienda.
Precisavano che nel 2012 la società aveva ceduto un ramo di azienda a un’altra società cui gli stessi erano adibiti. Nel 2017, la crisi aziendale aveva determinato il licenziamento collettivo in esame, rispetto al quale i lavoratori denunciavano la presenza di una ipotesi di retrocessione aziendale trattandosi del medesimo ramo di azienda ceduto nel 2012. Precisavano che le attività continuavano ad essere svolte da altre società che avevano offerto ai lavoratori di essere nuovamente assunti, ma non in continuità con il pregresso rapporto di lavoro e dunque con condizioni peggiorative.
La corte territoriale aveva escluso la presenza di uno specifico ramo di azienda ceduto o meglio retroceduto, in assenza di prove circa la sua esistenza (con riferimento agli elementi necessari quali autonomia, consistenza, beni), anche rilevando che, la sentenza del tribunale di primo grado era tutt’ora oggetto di impugnazione, peraltro con posizioni processuali dei lavoratori che negavano la presenza di un ramo di azienda.
La Corte escludeva altresì l’applicabilità nel caso di specie della disciplina dell’art. 2012 c.c., poiché le società subentranti, nella vicenda del cambio appalto, erano dotate di propria autonomia organizzativa e operativa, con elementi di discontinuità rispetto alla precedente impresa.
La medesima Corte escludeva infine condizioni di frode alla legge nel comportamento dell’azienda datrice, accusata di cercare continuità occupazionale non applicando le tutele del 2112 c.c., sancendo l’inesistenza di motivi illeciti e ritorsivi del licenziamento collettivo.
La decisione della Corte di Cassazione
Nella impugnata sentenza il giudice d’appello ha espressamente e motivatamente evidenziato le ragioni di esclusione della denunciata frode alla legge e della insussistenza di motivi illeciti del licenziamento e della mancata riassunzione. La Corte ha spiegato che il licenziamento in esame aveva riguardato tutti gli addetti impiegati nella commessa presso l’aeroporto per cessazione dell’attività e in una situazione di discontinuità rispetto a condizioni in precedenza, in assenza della configurabilità di un ramo di azienda.
La Corte territoriale ha spiegato che sin dall’avvio della procedura di licenziamento collettivo era stata chiarita dalla società la ragione della impossibilità di utilizzare i lavoratori in altro contesto aziendale, attesa la peculiarità delle mansioni svolte solo presso specifici servizi in ambito areoportuale.
Tali circostanze rendevano pertanto non comparabili le funzioni e infungibili le mansioni dei ricorrenti.
Ciò premesso, la Corte di Cassazione ha chiarito che “in tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, qualora il progetto di ristrutturazione si riferisca in modo esclusivo ad un’unità produttiva, le esigenze di cui all’art. 5, comma 1, della I. n. 223 del 1991, riferite al complesso aziendale, possono costituire criterio esclusivo nella determinazione della platea dei lavoratori da licenziare, purché il datore indichi nella comunicazione ex art. 4, comma 3, della I. n. 223 citata, sia le ragioni che limitino i licenziamenti ai dipendenti dell’unità o settore in questione, sia le ragioni per cui non ritenga di ovviarvi con il trasferimento ad unità produttive vicine, ciò al fine di consentire alle organizzazioni sindacali di verificare l’effettiva necessità dei programmati licenziamenti” .
Anche in tale caso la corte di appello ha espresso, sulla base dei riscontri fattuali, un giudizio di merito coerente con i principi sopra riportati e non censurabile in questa sede di legittimità.
Fonte: Redazione TFDI