Mettiamo che il cashback sia in dichiarazione dei redditi

Ratio Quotidiano
23 Ottobre 2020

Un premio per l’utilizzo di mezzi tracciabili, ma sarà da tassare? Il rischio è un colossale sistema di micro-ritenute e micro-redditi nel caso di premio “lordizzato”.
L'Italia si sta avvicinando al cashback di Stato, ossia il premio in denaro che i consumatori riceveranno per l'uso di mezzi di pagamento tracciabili. Lo strumento, secondo indicazioni della Banca d'Italia, dovrebbe portare a un incremento di transazioni con moneta elettronica nell'ordine del 10%. Il costo del cashback dovrebbe essere ampiamente ripagato da una corrispondente riduzione dell'evasione fiscale.
A questo proposito gli esperti del settore hanno manifestato pubblicamente l'auspicio che il cashback di Stato non sia tassato, perché non è per nulla pacifico che le varie forme di cashback (rimborsi, premi e superpremio finale) siano esenti da imposte. Indicazioni ufficiali sul trattamento fiscale del cashback non risultano, nonostante l'Agenzia abbia risposto a diversi interpelli in materia. Conferma indiretta si rileva nell'interpello 1.10.2020, n. 424 relativo al trattamento per i soggetti che forniscono servizi di incentivi commerciali. Esiste, in sostanza, una demarcazione tra forme di cashback assimilabili a sconti indiretti e forme assimilabili a prestazioni remunerate.
La prima categoria riguarda le ipotesi in cui il cashback matura a favore dell'acquirente contestualmente all'acquisto (modello Satispay), anche se riconosciuto dopo qualche tempo. L'acquisto, inoltre, deve essere volontario e personale, quindi non a favore di aziende. In questo caso non nasce il presupposto impositivo e non ci sono obblighi fiscali.
Ben diverso è il caso di remunerazioni concesse all'acquirente per attività ulteriori, tipo “invita un amico”, bonus di benvenuto, registrazioni a newsletter, servizi ecc. In tal caso, secondo un'interpretazione della norma tributaria, il presupposto impositivo sarebbe integrato: il consumatore opera come procacciatore del venditore, ricevendo in contropartita un reddito da intermediazione.
Gli schemi commerciali sono in realtà ben più ampi, quindi ogni categorizzazione lascerebbe fuori formule già in atto o di prossima adozione.
Per il consumatore, cadere in uno schema piuttosto che in un altro non è indifferente: nel primo caso non ci sono obblighi fiscali, ma nel secondo caso l'azienda organizzatrice è tenuta ad applicare la ritenuta prevista per le intermediazioni commerciali (23% sul 50%). Quindi l'importo promesso al consumatore, in realtà, è corrispondente alla differenza tra un lordo e la relativa ritenuta, cioè è lordizzato. Il consumatore riceve un netto, ma l'organizzatore mette poi a sua disposizione anche una apposita CU da riportare nel 730 o nel modello Redditi, pagando le relative imposte al netto della ritenuta.
Ulteriore complicazione è che la distinzione tra le 2 fattispecie non è sempre così netta. Alcuni sostengono interpretazioni più restrittive della norma, considerando reddito tassato quello che per altre realtà è un semplice sconto commerciale. Non si tratta sempre e solo di prudenza: è chiaro che, scegliendo la strada della tassazione, l'organizzatore potrà strutturare l'operazione con maggiore libertà, sebbene subisca un costo maggiore e affronti anche una maggiore complessità.
Di contro, il consumatore, per lo più in buona fede, rischia di tralasciare alcune CU per pochi euro ciascuna, compilando quindi una dichiarazione dei redditi incompleta.
Quando lo Stato inizierà a gestire il cashback, il tema sarà davvero scottante. O il meccanismo avrà la garanzia di irrilevanza reddituale, o la Pubblica Amministrazione e i cittadini si troveranno a gestire un colossale sistema di micro-ritenute e micro-redditi.


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