È da considerare attività lavorativa a tutti gli effetti l’opera prestata ai seggi dal lavoratore subordinato.
Con l'appuntamento elettorale e referendario del 20 e 21.09.2020, si ripropone in questi giorni il tema dei permessi a favore di quei lavoratori chiamati a svolgere pubbliche funzioni negli uffici elettorali. La disciplina della materia risale addirittura al 1957, sebbene sia stata soggetta a successive modifiche, più precisamente all'art. 119 che riconosce a tutti i lavoratori dipendenti, sia pubblici che privati, il diritto ad assentarsi dal lavoro per l'intera durata delle operazioni di voto e di scrutinio in occasione di tornate elettorali e consultazioni referendarie.
Posto che gli incarichi interessati sono quelli di presidente di seggio, scrutatore, segretario, rappresentante di lista, di gruppo o comitato promotore di referendum, l'esercizio di tale funzioni viene considerato attività lavorativa a tutti gli effetti. Ciò significa, in buona sostanza, che i lavoratori impegnati nei seggi hanno diritto a una retribuzione aggiuntiva rispetto a quella ordinaria mensile. Ponendo, per esempio, che le elezioni si svolgano di sabato e tale giorno sia di riposo, la presenza al seggio viene compensata con la medesima retribuzione prevista per una giornata di lavoro. In tal senso si è pronunciata la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11830/2011, che ha sancito a favore del lavoratore impegnato nelle operazioni elettorali, il diritto all'intera retribuzione della giornata lavorativa, anche se il suo impegno è stato in realtà più ridotto.
Tuttavia, nella pratica è molto più frequente l'opzione alternativa, vale dire quella del riposo compensativo per tanti giorni quanti sono stati quelli impegnati ai seggi, prescindendo, anche in questo caso, dal fatto che la partecipazione sia stata solo di poche ore (è ciò che accade generalmente nella giornata di sabato, quando nel primo pomeriggio viene svolta unicamente l'attività di allestimento del seggio).
Riguardo al periodo di fruizione, la Corte Costituzionale ha indicato quello immediatamente successivo alle operazioni elettorali, mentre in caso di impossibilità per il lavoratore di godere del riposo compensativo, i giorni in questione potrebbero essere tramutati in ferie o permessi di diversa natura, sempre che, ovviamente, non si sia scelto il pagamento in busta paga.
Il lavoratore ha naturalmente l'obbligo di informare preventivamente il datore di lavoro consegnandogli copia del certificato di convocazione ricevuto dal Comune competente, oppure quello di nomina emesso da un partito politico che partecipa alla competizione. Poi, una volta concluse le operazioni elettorali, dovrà produrre lo stesso documento, debitamente timbrato e firmato dal Presidente di seggio, con l'indicazione delle giornate di effettiva presenza al seggio.
Riguardo a quest'ultimo adempimento, va segnalata la sentenza della Cassazione 23.01.2018, n. 1631 che ha ritenuto legittimo il licenziamento disciplinare di un lavoratore che aveva consegnato un falso certificato di partecipazione alle attività elettorali, grazie al quale aveva goduto del riposo compensativo. Secondo i giudici della Suprema Corte, tale condotta giustifica il licenziamento disciplinare poiché non solo pregiudica il rapporto fiduciario del contratto di lavoro, ma provoca anche un danno economico all'azienda.
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