La Corte di Giustizia interviene sul caso, anche se riferito alla Polonia, confermando che la legislazione nazionale deve garantire la neutralità dell’imposta e la proporzionalità delle misure.
Prima di commentare la recente sentenza C-48/20 della Corte di Giustizia, è d'obbligo richiamare le difficoltà dei contribuenti italiani alle prese con l'Iva fatturata in eccesso. Difficoltà che, per lo più, si riversano sull'acquirente, spesso inconsapevole. I rimedi normativi ci sarebbero. In particolare, ci riferiamo all'art. 30-ter D.P.R. 633/1972 e ancora di più all'art. 6, c. 6 D.Lgs. 471/1997 che consentirebbe il mantenimento della detrazione eccessiva, purché non si verta in un caso di frode e si paghi una sanzione formale. Senonché, quest'ultima norma, dettata dall'esigenza di ristabilire proporzionalità e neutralità, è stata interpretata in maniera assai restrittiva dalla Cassazione (sentt. 24289/2020 e poi 10439/2021) fino a svuotarla completamente di contenuto.
Il contesto della sentenza C-48/20 si riferisce alla giurisdizione polacca. In particolare, l'autorità fiscale di Varsavia ha ritenuto che un particolare servizio relativo al commercio di carburante fosse da considerare alla stregua di un servizio finanziario esente Iva, mentre il contribuente (a ciò indotto dalla prassi della stessa Amministrazione fiscale locale) lo aveva trattato come un'operazione di acquisto e rivendita. La vicenda ha punti di contatto con quanto potrebbe accadere in Italia a proposito di lease-back.
Nel caso polacco, il fornitore non ha potuto rettificare le fatture in quanto la legislazione locale non consente alcuna rettifica dopo che stato avviato un procedimento fiscale. Fuori da questo caso, invece, è previsto, come richiesto dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, che il fornitore possa rettificare l'imposta indebitamente indicata in fattura per garantire la neutralità dell'Iva.
Ne è derivata una doppia applicazione dell'imposta in capo all'incolpevole cliente. Per tale motivo il giudice polacco ha portato il caso all'attenzione della Corte di Giustizia invocando chiarimenti circa la corretta applicazione dell'art. 203 della direttiva, che comporta il pagamento dell'Iva per il solo fatto che essa sia indicata in fattura, in relazione al principio di proporzionalità e neutralità.
La Corte risponde ricordando che gli Stati membri possono adottare provvedimenti per evitare le frodi, senza però eccedere quanto necessario per raggiungere gli obiettivi; in particolare, non possono mettere in discussione la neutralità dell'Iva. Spetta agli Stati membri, in assenza di disposizioni nella Direttiva, determinare le condizioni in cui l'Iva indebitamente fatturata può essere regolarizzata (cfr. C-835/18 Terracult).
Quindi chi ha emesso indebitamente una fattura, avendo agito in buona fede, deve avere la possibilità di rettificare l'imposta.
Per queste ragioni la Corte conclude che la disciplina polacca, che limita la possibilità di rettificare l'imposta in presenza di un procedimento tributario, non è conforme alla Direttiva Iva UE.
Le conclusioni della Corte rafforzano l'auspicio che la nostra Cassazione riveda gli approcci o che il legislatore intervenga nuovamente per sancire in maniera definitiva la neutralità dell'imposta.
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