Con l’interpello n. 301/2021 l’Agenzia conferma che se l’Iva è erroneamente applicata dal cessionario con inversione contabile, la detrazione è salva e la sanzione si applica in misura fissa, ma è ravvedibile.
Una società non residente, con identificativo e deposito Iva in Italia, deve fatturare con Iva italiana la merce estratta dal deposito solo se l'acquirente non è stabilito in Italia. Negli altri casi, infatti, le disposizioni vigenti richiedono che l'acquirente stabilito in Italia integri la fattura emessa dal non residente con il reverse charge di cui all'art. 17, cc. 2 e 3 D.P.R. 633/1972. Si ricorda che per soggetto stabilito si intende un soggetto domiciliato con stabile organizzazione in Italia, mentre non è soggetto stabilito un soggetto con una semplice identificazione Iva in Italia, diretta o con rappresentante fiscale.
Ciò premesso, è capitato che un venditore lussemburghese con deposito Iva in Italia, ha errato nell'applicazione delle regole appena descritte, indotto da informazioni erronee, e ha fatturato la merce estratta dal deposito italiano e destinata ad un acquirente non residente con identificativo Iva italiano, ma senza stabile organizzazione in Italia, utilizzando la partita Iva lussemburghese. Il fornitore ha indicato in fattura “reverse charge”. La procedura corretta, invece, avrebbe richiesto l'emissione di una fattura dall'identificativo Iva italiano con Iva esposta.
Con il recente interpello 301/2021, la società lussemburghese si rivolge all'Agenzia per avere conferma sulla procedura di correzione.
In particolare, l'istante chiarisce che l'errore è stato commesso in buona fede, che l'acquirente ha effettivamente applicato l'istituto del reverse charge, e che in definitiva non si è prodotto alcun danno per l'Erario.
Ebbene, l'Agenzia risponde che al caso descritto torna applicabile l'art. 6, c. 9-bis.2 D.Lgs. 471/1997 in base al quale nei casi di imposta erroneamente assolta dal cessionario o committente, fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione, il cedente o il prestatore non è tenuto all'assolvimento dell'imposta, ma è punito con la sanzione amministrativa compresa fra 250 e 10.000 euro. Sanzione che, secondo l'Agenzia, è ravvedibile e si applica in base a ciascuna liquidazione (mensile o trimestrale) e con riferimento a ciascun committente.
La risposta dell'Agenzia sembrerebbe scontata, ma l'estensore del quesito ha giustamente preferito essere prudente in quanto le norme procedurali dell'Iva che si rifanno a principi comunitari sembrano essere soggette a larghissima discrezionalità applicativa. Qui l'Agenzia aggiunge che il meccanismo correttivo descritto non si applica non solo in presenza di frode ma anche nel caso di ricorso all'inversione contabile in ipotesi palesemente estranee a detto regime.
Infine, dobbiamo rilevare che un contributo a rendere incerta l'applicazione delle norme domestiche in apparente contrasto con quelle UE viene anche dalla giurisprudenza. Per esempio, recentemente la stessa Cassazione (da ultimo, sentenza 21.04.2021, n. 10439) ha dato un'interpretazione dell'art. 6, c. 6 D.Lgs. 471/1997, relativo all'Iva addebitata in eccesso, che francamente pare negazionista.
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