La Cassazione, con la sentenza n. 20130/2020, ha chiarito la situazione dei coniugi residenti in 2 abitazioni differenti.
Il nostro Paese è caratterizzato da un'enorme mole di ricorsi tributari. Il caso che proponiamo nasce dall'accoglimento in sede di appello delle ragioni del contribuente, nell'ambito di una controversia scaturente dall'avviso di accertamento Imu per l'anno 2013, ritenendo sussistente il presupposto per fruire dell'aliquota agevolata sull'abitazione principale, nonostante il contribuente avesse la residenza anagrafica nell'immobile gravato da Imu e il coniuge dimorasse in altro Comune con l'assunto di svolgere attività lavorativa fuori dal territorio familiare.
La società di riscossione ha presentato ricorso per Cassazione, impugnando il giudizio di appello. Secondo il Fisco, la legge prevede limiti stringenti per beneficiare delle agevolazioni Imu e, nel caso specifico, il contribuente ha versato una minore imposta malgrado l'immobile non fosse stato adibito a dimora abituale dell'intero nucleo familiare, sostenendo che la residenza del coniuge in altro Comune limitrofo non consentirebbe neppure presuntivamente di configurare il requisito della dimora abituale dei coniugi. La sentenza riprende quanto disposto dall'art. 13, c. 2 D.L. 201/2011: “L'imposta municipale propria non si applica al possesso dell'abitazione principale e delle pertinenze della stessa, ad eccezione di quelle classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9 (…). Per abitazione principale si intende l'immobile, iscritto o iscrivibile, nel catasto edilizio urbano come unità immobiliare, nel quale il possessore ed il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente”. In sintesi, la norma ha stabilito la condicio sine qua non che nella stessa unità immobiliare debbano dimorare stabilmente e risiedere anagraficamente tanto il possessore, quanto il suo nucleo familiare.
Tra l'altro, i Supremi giudici hanno evidenziato che questo orientamento è stato anche condiviso dalla Corte Costituzionale nella sentenza 20.11.2017, n. 242 e che con la modifica al D.L. 201/2011, ad opera dell'art. 1 L. 208/2015, è stato previsto che solo dal 1.01.2016 la base imponibile dell'imposta municipale propria è ridotta del 50% per le unità immobiliari, fatta eccezione per quelle classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9, concesse in comodato dal soggetto passivo ai parenti in linea retta entro il primo grado che le utilizzano come abitazione principale, a condizione che il contratto sia registrato e che il comodante possieda un solo immobile in Italia e risieda anagraficamente nonché dimori stabilmente nello stesso Comune in cui è situato l'immobile concesso in comodato, come richiamato nelle decisioni della Cassazione nn. 20368/2018, 5314/2019 e 4166/2020.
Nel nostro caso è stato accertato che solo la ricorrente aveva la propria residenza anagrafica nel Comune mentre il proprio coniuge non legalmente separato aveva la residenza e la dimora abituale in altro Comune.
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